Di recente il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha pubblicato, in collaborazione con la Fondazione dell’ordine, il saggio “Le società sportive dilettantistiche: profili civilistici e fiscali. Novità introdotte dal DLgs n.36/2021” a firma di Enrico Savio e Gabriella Trinchese alla cui lettura integrale si rinvia.
Il documento esamina l'attuale disciplina delle società sportive dilettantistiche contenuta negli artt. 6-12 D.Lgs. 36/2021, nonché la relativa disciplina fiscale: ci soffermiamo qui solo su alcuni aspetti.
Quali società sportive?
La prima parte del documento si concentra sulle diverse tipologie di società utilizzabili, evidenziando come in fase di correttivo sia stata reintrodotta la possibilità di adottare la forma della cooperativa mentre sia stata abrogata la possibilità di adottare la forma della società di persone per contenere il rischio di eccessiva confusione tra il patrimonio dei soci e quello della società di persone. Vieni qui evidenziato però che tale condizione permane nel caso di società di persone che, acquisita la qualifica di impresa sociale, decide di ottenere anche il riconoscimento di sodalizio sportivo tramite l’iscrizione nel registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.
Tra le forme giuridiche si esclude – in via interpretativa condivisa – la possibilità di ricorrere al tipo della società a responsabilità limitata semplificata in quanto la necessità di utilizzare inderogabilmente il modello standardizzato di statuto non consentirebbe l’adeguamento alle previsioni che connotano la disciplina speciale delle SSD.
Come redigere gli statuti?
Rispetto ai requisiti statutari il documento evidenzia come il provvedimento abbia declinato il concetto di divieto di scopo di lucro prevedendo la c.d. lucratività attenuata, ossia la circostanza che non si considera distribuzione, neanche indiretta, di utili ed avanzi di gestione
a) la ripartizione ai soci di ristorni correlati ad attività di interesse generale effettuata da imprese sociali costituite in forma cooperativa, a condizione che lo statuto o l'atto costitutivo indichi i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e alla qualità degli scambi mutualistici e che si registri un avanzo della gestione mutualistica;
b) la destinazione di una quota inferiore al 50% degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci nel caso di impresa costituita nelle forme di cui al libro V del codice civile e nei limiti delle variazioni del FOI, oppure la distribuzione, anche mediante aumento gratuito del capitale sociale o l'emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;
c) le erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano fondatori, associati, soci dell'impresa sociale o società da questa controllate, finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale.
Ebbene l’autore evidenzia come tali clausole siano legittime sotto il profilo civilistico ma possono andare in contrasto con il divieto di distribuzione diretta ed indiretta di utili prevista dall’articolo 148 del testo unico delle imposte sui redditi con conseguente decadenza dalle agevolazioni fiscali. Tale preoccupazione, condivisa da chi scrive, fa propendere per un atteggiamento prudenziale per cui si sconsiglia di implementare negli statuti tali clausole finché non disporremo di provvedimenti di prassi o giurisprudenziali che possano dirimere la questione. Sarebbe interessante approfondire il tema dei ristorni: si attestano orientamenti difformi tra notai che prevedono il ristorno e notai che, affermando il divieto assoluto di divisione di utili, negano la possibilità di riconoscere i ristorni ancorché questi rappresentino un aspetto costitutivi dello schema cooperativo. Forse il ristorno come integrazione salariale riconosciuta comunque nei limiti del 40% della retribuzione definita da contratti collettivi stipulati da organizzazioni maggiormente rappresentative potrebbe rendere l'istituto compatibile con il divieto di scopo di lucro.
Sempre con riferimento alle cooperative, l’autore ricorda che anche in questo caso lo statuto deve prevedere la devoluzione a fini sportivi e non ai fondi mutualistici: l’art. 2520, comma 1, del c.c., prevede infatti che le cooperative regolate da leggi speciali sono soggette alle disposizioni del Codice civile, nei limiti della compatibilità con la disciplina speciale.
Quale trattamento fiscale?
Rispetto alla fiscalità delle società sportive dilettantistiche l’autore evidenzia come si vada in sostanziale continuità di regime. Sul tema sarebbe interessante un affondo sulla fiscalità delle imprese sociali sportive. L’articolo 89 del Codice del terzo settore prevede che non si applichi il regime di cui alla legge 398/1991 agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali con ciò lasciando ritenere applicabile il regime forfettario ma sarebbe opportuno un chiarimento sul punto. C’è da dire che con il parere favorevole della DG concorrenza rispetto al regime fiscale delle imprese sociali, verosimilmente dal 2026 le imprese sociali reinvestendo gli utili nelle attività non configurerebbero base imponibile. Per approfondimenti Arsea Comunica n. 33 del 12/03/2025.
In materia di IVA le società sportive dilettantistiche e le imprese sociali sportive potranno applicare il regime di esenzione iva ma fino al 31/12/2025 potranno anche applicare il regime di non assoggettamento ad iva quando i servizi sportivi sono diretti ai tesserati all’organismo sportivo affiliante.
Il documento si sofferma poi sullo svolgimento di attività diverse da quelle sportive e sull’emendamento che fortunatamente ha previsto che alcune di tali attività – ossia quelle legate a rapporti di sponsorizzazione, promo pubblicitari, cessione di diritti e indennità legate alla formazione degli atleti nonché dalla gestione di impianti e strutture sportive - non incidono sul rapporto tra attività “sportive” e attività diverse ai fini della qualificazione di queste ultime come secondarie. Valutazione che si fonderà su parametri non ancora normati.
Restano ancora i dubbi sulla efficacia vincolante della Circolare 18/2018 dell’Agenzia delle entrate.
Da un lato l’autore dà atto che il principio di cassa allargata affermato dall’Agenzia delle entrate – per cui nel plafond della 398 dovrebbero essere computati anche i ricavi non riscossi ma fatturati – è stato messo in discussione dalla Corte di cassazione nell’ordinanza 15 luglio 2022, n. 22440, dall’altro sembra accogliere il principio secondo cui tale regime forfettario, nato per semplificare, troverebbe invece esclusiva applicazione ai ricavi commerciali connessi alle attività sportive con conseguente necessaria distinzione tra tre potenziali regimi fiscali, ossia quello legato alla c.d. attività decommercializzata (corsi sportivi o iscrizione a manifestazioni sportive), quello legato alle attività commerciali connesse a quelle istituzionali e quindi soggette potenzialmente al regime di cui alla legge 398/1991 (es: sponsorizzazione dell’evento sportivo o cessione di abbigliamento sportivo relativo alla disciplina promossa) ed infine il regime ordinario, iva da iva, da applicare ad attività commerciali non strettamente connesse a quelle sportive (es: cessione di abbigliamento sportivo relativo a discipline non direttamente promosse).
Arsea Comunica n. 38 del 22/03/2025
Francesca Colecchia
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